*IL TEMPO SOSPESO*
IL VICINATO
in una domenica delle Palme, malinconica e solitaria, i ricordi di mia sorella scaldano il cuore… ricordi di un vicinato solidale, con cui si dividevano piccole gioie, dolori e disgrazie, pettegolezzi e parole di conforto… Una rete sociale che aiutava e sosteneva.
Antichi saperi e antichi sapori rappresentati dalle due donne della mia foto, donne comari, parenti o semplicemente vicine che insieme preparano la pasta.
*5 aprile
Buona
domenica delle palme! La città è sempre semi-addormentata, per strada qualche
alieno con la mascherina e qualche incosciente senza.
Ancora numeri, ancora tentativi, ancora tanti eroi, tanti piccoli passi che
alimentano speranze.
Si parla spesso di piccoli e grandi gesti di generosità e di solidarietà.
Penso che in questi lunghi giorni di isolamento sociale le nostre coscienze si
stiano risvegliando.
Abbiamo rallentato la corsa, ci siamo accorti che esiste anche
"l’altro", che anche noi siamo "l’altro".
Per anni abbiamo vissuto in quartieri, in condomini, dove non ci si conosceva,
non si sapeva nulla l’uno dell’altro, a malapena ci si salutava incontrandosi.
Però sui social abbiamo tanti amici virtuali…
Vado indietro nel tempo, quando Nuoro era una comunità (quella che ancora oggi
vivono i nostri paesi) dove esistevano veramente i rapporti con le persone. Il "vicinato"
era una cerchia di persone che vivevano nella stessa via, che si conoscevano
bene e che condividevano momenti lieti e tristi della vita. Quando una famiglia
veniva colpita da un lutto, c’era chi si incaricava di preparare per loro la
colazione: una caffettiera di caffè ben caldo, i biscotti e lo zucchero.
Altri preparavano il pranzo: malloreddos al sugo, polpette "chin sa
bagna" o carne arrosto, insalata e caffè.
Quando in vicinato c’era un matrimonio, le vicine (non le vedove) rompevano il
piatto all’uscita di casa della sposa.
Era questo un augurio di buona fortuna per la nuova famiglia che si stava
formando, infatti nel piatto c’era il grano, simbolo di fertilità, qualche
moneta simbolo di prosperità, petali di fiori e cioccolatini simbolo di serenità
e allegria. Era un bel momento per noi bambini che letteralmente ci tuffavamo
per raccogliere le monete e i dolci.
Spesso le persone che abitavano nella stessa via erano anche parenti tra di
loro, formavano "unu trichinzu", un intreccio di parentele. Aiuto e
solidarietà tra di loro era una cosa normale Non mancavano certo le rivalità o
le invidie, ma prevaleva il quieto vivere. Il vicinato della mia nonna spagnola
era proprio "unu trcichinzu", formato da sorelle, cognati, cugini,
parenti da parte di…
Si sapeva tutto di tutti, forse anche troppo, ci si incontrava anche per
"contularjare", il gossip di allora.
Molte famiglie allevavano il maiale per uso familiare. Ne ricavavano prosciutti,
salsicce "sa grandula",l o strutto e la gelatina. Quando si uccideva
il maiale si faceva la parte per i vicini di casa. Io avevo l’incarico di
portare "s’ispinu", un bel pezzo di polpa, in cambio ricevevo
"s’ustrina", in genere qualche dolce o qualche monetina.
Ho un ricordo vivo del vicinato dove abitava nonna Vanna, sempre in via Roma,
con l’ingresso di fianco alle vecchie carceri.
Zia Bannedda era una donna vecchia e cieca, anzi aveva gli occhi bianchi. Nelle
belle giornate le figlie la facevano sedere su una sedia fuori della porta di
casa. Mi faceva paura ma anche mi incuriosiva, se mi avvicinavo per guardarla
meglio,lei se ne accorgeva e diceva:-"Chie sese?"-.Io scappavo.
Spesso entrava a casa di nonna una donna alta e segaligna, tutta vestita di
nero, in costume, con dei piedi enormi, zia Maria Franzisca guttea (questo era
il suo soprannome) .Si metteva il tabacco nel naso e lo aspirava, per questo
aveva sempre le narici nere."-Comà e ite? Oje appo bidu sas bentanas galu
serradas, cosa b’hat sutzessu?"-. C’era la premura di sapere, di sincerarsi
se tutto andava bene.-"Comà,soe andada a campagna, dèzi unu pachu de
frenucheddu e de irmulatha, cochiebollos"-, diceva zia Antona lanzedda.
Anche lei vestiva di nero, anche lei era comare di nonna. Allora si diventava
comari e compari a giugno la notte di san Giovanni. Era una "comaria"
sacra che durava tutta la vita.
Zia Pauledda carzone era dirimpettaia di nonna,aveva un piccolo cortile pieno di
vasi di fiori. Dal portone sempre spalancato si poteva vedere anche il pozzo
chiuso con delle assi di legno, anche lì sopra c’erano vasi con gerani e
fucsie. Era un posto pieno di colori che dava allegria. Spesso zia Pauledda
veniva a "contularjare" con nonna, era sempre informata su tutto.
A volte veniva a salutare nonna una signora "continentale", alta,con
la faccia bianca e i capelli lunghi biondi, molto chiari. Era una professoressa
delle Magistrali, la signora Maria Baldessari. Da grande ho saputo che era la
moglie dello scrittore Bachisio Zizi. Parlava in italiano, era molto cordiale,
si informava della salute di nonna, mi faceva una carezza e scappava via, aveva
sempre fretta.
La signorina Annetta de Bernardi abitava in un palazzo alto poco distante dalla
casa di nonna. Suonava il pianoforte e si esercitava ogni giorno ,forse dava
delle lezioni. Ricordo che in testa portava un cappellino beige, indossava un
cappotto scozzese marron e i guanti. Profumava di cipria e di "Violetta di
Parma". Chiedeva a nonna:-"Signora Giovanna ha bisogno di
qualcosa,anche dalla farmacia?Tanto io esco sempre, stia bene e…preghi per
me"-.
Questa era la mia Nuoro di allora.
Buona giornata.*
Cari saluti
Marilena
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