Riflessioni
in tempo di Covid-19
di Anna Saderi
Sognando
la mia serenità egoistica del mondo di ieri, precipitando nello sconosciuto
domani che ci attende, vivo oggi in un tempo sospeso e assurdo, sballottata tra
un groviglio di emozioni da dominare e una ridda di pensieri personali e
informazioni collettive da vagliare. Rileggo un po’ intenzionalmente e un
po’ a caso pagine scelte tra i saggi della mia formazione culturale e politica
per cercare di interpretare i segnali che percepisco, per tentare di capire
quale futuro ci aspetta (ahimè la coazione a indagare, conoscere, capire
è spesso un bisogno ma anche un tormento!). Desidero scoprire se da uno
sconvolgimento come questo può nascere l’uomo nuovo (l’homo novus di
classica memoria), pronto a costruire un mondo diverso, meno chiuso ed egoista,
più equo e solidale. Un tempo era facile confrontarsi, anzi direi che lo si
sentiva doveroso,
oggi al contrario nonostante l’abbondanza di mezzi tecnici, a me pare
assai più difficile. Non perché ciò non avvenga, ma perché la comunicazione
è più astratta, frammentata, limitata, selettiva e in conclusione più
semplificata e superficiale.
La
piazza vuota di oggi sembra una chiara metafora dell’assenza di luoghi reali,
fisici di scambio delle idee (penso a tutte le sedi in cui prima più o meno
proficuamente i discorsi e i pensieri si incontravano e si scontravano, oggi
sostituite dai molteplici siti virtuali nei quali la connessione costante ci fa
supporre di essere in vera relazione con tutti, persino con l’illusione che
l’atomizzazione possa salvaguardare la nostra privatezza). L’attuale
comune esperienza dell’isolamento da una parte ci fa sentire massa collettiva,
dall’altra sottolinea la solitudine, amplificata dalla esortazione ossessiva
al “distanziamento sociale”, della vita di ciascuno di noi.
Nel
mio confuso andirivieni tra i libri della mia libreria ho ripreso in mano i
racconti di Edgar Allan Poe, in particolare
perché ricordavo, e quindi volevo rileggere, il racconto della Maschera
della morte rossa che narrava di una terribile epidemia che stava devastando il
paese del principe Prospero e che aveva costretto lo stesso principe e i suoi
cortigiani a scappare e a rifugiarsi nel palazzo per evitare il contagio. In
realtà poi sono stata attratta da un altro racconto che in modo altrettanto
pertinente si adatta alla nostra attuale situazione. Il titolo è “l’uomo
della folla”, un racconto del 1840 che anticipa il tema della condizione umana
e dell’alienazione nella nascente società industriale capitalistica. Narra di
un vecchio che, terrorizzato dalla sua solitudine, cammina senza fermarsi mai in
mezzo alla folla per confondersi con essa e di un uomo (il soggetto narrante)
che, attratto dal suo volto,
lo pedina e lo segue per tutto il tempo attraverso la città, nelle zone
e nelle situazioni più
disperate e disperanti, per cercare di capire il senso di questo ininterrotto
andare e mimetizzarsi tra la gente. A ciascuno naturalmente lascio la
conclusione
e le relative considerazioni dalla
lettura.
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